Fujifilm X100VI. Eleganza e prestazioni

Confesso che prima della Fujifilm X100VI non mi era mai capitato di provare una fotocamera con alcune settimane di anticipo rispetto alla presentazione ufficiale, con la giusta calma, apprezzandone le caratteristiche al meglio. Un’esperienza importante, sia sul piano professionale, un riconoscimento di cui siamo contenti, sia sul piano personale, perché della X100 possiedo la F, la quarta generazione per coloro che si sono recentemente aggiunti ai possessori di questo modello e ancora non ne conoscono la storia.

La storia per l’appunto. Nel settembre del 2010 abbiamo deciso di fondare Discorsi Fotografici, eravamo animati principalmente dal desiderio di parlare di fotografia. Era un tempo in cui al massimo si discuteva di fotocamere sui forum, c’erano i blog e i siti personali, i social erano ancora in fase embrionale, ma niente che andasse oltre le macchine fotografiche. La discussione era uno scontro tra tifoserie, due grandi marchi, uno giallo e nero, l’altro rosso e bianco, che si battevano sul campo dei bit, non ce n’era per nessun altro. Noi volevamo, al contrario parlare, di fotografia e farlo con gli autori e le autrici. Complice anche il momento in cui non c’era un forte investimento nella comunicazione aziendale in questo settore, inizialmente non eravamo molto interessati alle novità tecnologiche. Eppure, nel settembre del 2010, Fujifilm presentò la prima X100, modello che si impose all’attenzione di tutti e che ha inaugurato la Serie X, dando avvio al nuovo corso del colosso giapponese in ambito professionale.

Diversamente da oggi, dove le cose arrivano anche prima dell’uscita, all’epoca per poter vedere e toccare un prodotto bisognava andare per fiere e in Italia, la più importante manifestazione era il Photoshow. Così nel 2011, immediatamente dopo l’ufficializzazione e la commercializzazione, siamo andati a Milano a vederla, senza riuscire a parlare con qualcuno di Fujifilm. Lo stand, tra l’altro, era letteralmente preso d’assalto. Abbiamo aspettato un anno, durante il quale ci siamo concentrati ad arricchire il nostro portfolio di interviste per il podcast, per poter parlare con qualcuno di Fujifilm.

Discorsi Fotografici con Riccardo Scotti. Photoshow Roma – 2012 © Discorsi Fotografici

Come detto, la Fujifilm X100 è stato il primo modello della Serie X e Fujifilm di fatto è partita da un foglio bianco per progettare una macchina fotografica completamente unica, affidando il successo a poche caratteristiche, ma che sono risultate vincenti e continuano a esserlo: ottica fissa da 35mm, mirino ibrido (digitale e galileiano), estremamente compatta. Inizialmente, la X100 venne accolta con un certo scetticismo, non convinceva, almeno in Italia, la proposta di una fotocamera a ottica fissa 35mm, nel pieno del successo degli zoom, 24-70 f2.8 primo fra tutti. Al contrario, la X100 conquistò fin da subito un’ampia platea e nel tempo, modello dopo modello, il pubblico si è allargato notevolmente, al punto da generare un vero entusiasmo nel corso del 2023 intorno alla quinta versione, con una rivalutazione nell’usato che non si era mai vista per nessuna fotocamera precedentemente.

Ci ritroviamo a parlare di una fotocamera che arriva alla sesta versione, ma che non cambia nelle dimensioni – se non in maniera impercettibile – e nel concept. Anche la X100VI beneficia dell’aggiornamento di sensore e processore di quinta generazione, X-Trans™ CMOS 5 HR da 40,2 megapixel e il motore di elaborazione delle immagini X-Processor 5 High Speed, quest’ultimo ha permesso di introdurre, anche su questo nuovo modello, il rilevamento del soggetto con tecnologia AI di deep learning, quindi in grando di rilevare animali, uccelli, automobili, motociclette, biciclette, aeroplani, treni, insetti e droni, così come nelle X-H2s, X-H2, X-T5 e X-S20. Il nuovo sensore, inoltre, ha permesso di introdurre nativamente la ISO 125, mentre sul modello precedente era solo un’opzione di sensibilità estesa. La novità di questa X100VI è lo stabilizzatore dell’immagine interna a 5 assi con un massimo di 6,0 stop. Sebbene ci sia un leggero aumento di peso e sulla carta di dimensioni, a occhio è impossibile notarlo, l’esperienza di utilizzo non cambia. Due ulteriori caratteristiche interessanti sono il filtro ND da 4 stop e la possibilità di tele convertire in camera, quindi passando da 35mm a 50mm o a 70mm, chiaramente con una riduzione dei megapixel totali, rispettivamente del 50% e del 75%. La riduzione è visibile solo in jpg, il RAW non è croppato; quindi, a meno di utilizzare le funzioni di editing in camera, occorre ritagliare nuovamente l’immagine in post-produzione.  

Sulla qualità dell’immagine c’è poco da discutere, semmai vale la pena aggiornare le considerazioni sul grande progresso che hanno fatto i software di demosaicizzazione, Adobe Lightroom in particolare, dove il RAW ora è molto bello, seducente, pastoso, raffinato, poco elettronico e in grando di restituire completamente l’intera gamma dinamica. Il 23mm f2, infine, continua a essere una lente più che valida anche su questo sensore con così tanta risoluzione.

Il museo dell’Ara Pacis di Roma ha ospitato l’ampia retrospettiva “HELMUT NEWTON. LEGACY”, ideata in occasione del centenario della nascita, posticipata a causa della pandemia.  L’esposizione, curata da Matthias Harder, direttore della Helmut Newton Foundation (a Roma affiancato da Denis Curti, direttore artistico de Le Stanze della Fotografia di Venezia) attraverso un nutrito numero di fotografie, circa 250 fotografie, con l’aggiunta di riviste e documenti vari, racconta l’unicità, lo stile e il lato provocatorio del fotografo tedesco, che si descriveva con queste parole: «Il mio lavoro come fotografo ritrattista è quello di sedurre, divertire e intrattenere». Senza entrare nel merito di questa splendida mostra, ciò che colpisce è la presenza costante della grana sulle sue fotografie, dagli esordi alla fine, un segno distintivo della bellezza del mezzo fotografico. Guardando queste immagini, così come quelle di altri fotografi e altre fotografe che hanno contribuito a scrivere la storia della fotografia, a nessuno verrebbe in mente di discutere sull’assenza di nitidezza o sulla mancanza di “incisività”, sui limiti della fotocamera utilizzata o del tipo di pellicola, sono dei capolavori, è arte.

Per questa ragione, non ci piace soffermarci troppo sulle caratteristiche tecniche, analizzando ogni singolo componente e poi fare una classifica. Pertanto, con un approccio meno esasperato da un punto di vista tecnologico, mi rivolgo a tutti, ma in particolar modo a coloro che possiedono già una X100 e si stanno chiedendo se abbia senso acquistare la X100VI. La risposta è SI. Per quanto i sensori delle generazioni precedenti rimangano validi, il vero punto di forza di questa fotocamera è la velocità di messa a fuoco, la velocità di riconoscimento del soggetto, la velocità operativa, cioè tutte caratteristiche presenti nei modelli della stessa generazione (X-H2s, X-H2, X-T5 e X-S20), ma che in combinazione con qualsiasi ottica, non beneficiano della compattezza della X100VI.
La potenza del processore di immagine è evidente, quasi disarmante rispetto ai modelli precedenti, con un occhio allenato a vedere la realtà, è possibile mentalmente anche anticipare l’istante decisivo, perché la macchina c’è. C’è quando vuoi catturare un dettaglio, una posa, un momento senza farti accorgere. C’è quando non guardi direttamente il soggetto, ma altrove e il risultato è stupefacente. C’è quando stai camminando e decidi comunque di scattare, sfruttando l’ibis. È vero che ci troviamo nell’era delle CFexpress e che la X100VI utilizza ancora il bus UHS-I, per evitare che la fotocamera si surriscaldi, ma questo non pregiudica il trasferimento dati che permette anche una buona raffica, per quanto i puristi la utilizzano a scatto singolo. A proposito, per ragioni di spazio lo slot di memoria rimane unico.  

Non amo molto i sensori con molta risoluzione, quello da 26 megapixel della X100F continua a essere estremamente valido, anche se non retroilluminato, così come quello della X100V che invece lo è, ma sicuramente con questo da 40 megapixel è possibile recuperare o ricomporre uno scatto in post-produzione con più facilità, e non c’è niente di scandaloso, la fotografia si è sempre fatta in questo modo. Inoltre, il passaggio dalle ombre alla luce è perfetto, con una gamma dinamica molto estesa, generosa nei recuperi delle sottoesposizioni e un bilanciamento del bianco perfetto. Credo che Fujifilm, rispetto a quando ha introdotto questo nuovo processore, abbia trovato il modo per sfruttarlo al meglio. Sospetto anche che l’esperienza che sta derivando dai sensori medio formato, stia contribuendo a una resa migliore di quelli APS-C.

Confronto recupero esposizione 1 stop – 2024 © Federico Emmi
Confronto recupero esposizione 3 stop, dettaglio – 2024 © Federico Emmi

Per coloro che come me utilizzano una X100F, non vendetela, primo perché è l’ultimo modello Made in Japan, secondo perché quel sensore è favoloso, pur non essendo retroilluminato; il passaggio alla X100VI però non è completamente immediato e inizialmente anche un po’ fastidioso. Si perdono, infatti, le frecce direzionali sulla parte posteriore del body e il tasto per disattivare il display o l’EVF, entrambi molto comodi. Per chi possiede la X100V, sotto questo punto di vista rimane tutto invariato. Il display posteriore è touch e finalmente snodabile quanto basta per una fotografia, sottolineo fotografia, da strada.

Non è una fotocamera ibrida, non nasce per fare anche video professionali, sebbene Fujifilm abbia deciso di permettere di registrare internamente fino a 6.2K a 30p 4:2:2 10-bit. I quattro lati del display touch possono essere programmati e qui il consiglio è di utilizzare funzioni che non devono essere attivate durante lo scatto, per quelle durante lo scatto, come ad esempio cambiare pellicola o attivare/disattivare lo stabilizzatore, è preferibile servirsi dei bottoni. In tal senso, una maggiore flessibilità nella personalizzazione sarebbe auspicabile, perché al momento Fujifilm ha deciso che i tasti programmabili non possono essere impostati con tutte le funzioni, ma solo con alcune, così come le ghiere. C’è da dire che, una volta trovato il proprio settaggio, le impostazioni operative sono immediate e la macchina si usa velocemente. Il menù, semplicemente invariato.

Parlavamo delle pellicole, la X100VI introduce la Reala Ace, molto attesa, portando a 20 il numero delle digitalizzazioni e con molta probabilità anche le altre fotocamere di quinta generazione beneficeranno di questo aggiornamento. Questa pellicola sembrava essere una esclusiva del sensore medio formato; infatti, è stata presentata con l’introduzione della GFX100II, c’è da dire però che la Serie X da sempre utilizza un filtro chiamato X-Trans, cioè con una matrice diversa da quella di Bayer e questo ha richiesto evidentemente più tempo per la conversione. Inoltre, tutte le diverse impostazioni nel menù per ottenere delle curve personalizzate, pertanto proprie pellicole, sono presenti.

Chi possiede poi le lenti di conversione, la Wide e la Tele seconda generazione, rispettivamente 28mm e 50mm, può tranquillamente utilizzarle anche con questo nuovo modello, senza pregiudicare la qualità delle immagini. Tra l’altro ereditano anche la tele conversione in camera, quindi con il 50mm si può addirittura arrivare a 100mm. Questi due accessori rappresentano un vero valore aggiunto di tutte le X100; leggeri, rendono l’uso della fotocamera estremamente versatile.

Sotto il profilo dell’autonomia, invece, la macchina pur mantenendo la storica batteria, la stessa dei modelli precedenti, con un amperaggio inferiore rispetto a quelle della nuova generazione introdotte con la X-T4, permette lunghe sessioni di scatto. In questo caso l’aver introdotto lo stabilizzatore non ha diminuito la durata della batteria e ciò è dovuto soprattutto a un minor consumo del sensore e del processore di immagine.

Sono passati 14 anni, quasi, dall’introduzione della prima X100 e la fotocamera è rimasta invariata nella forma, nell’estetica e nella sua operatività generale, a dimostrazione che un ottimo prodotto necessita solo di pochi ritocchi. Il mirino ibrido è la caratteristica che ha molto probabilmente decretato il successo di questo modello, ricordiamoci che nel 2010 i mirini erano galileiani e non digitali, averne uno doppio ha permesso di familiarizzare con una tecnologia, allora nuova. C’è poi una continuità con i modelli a pellicola del passato, lo stile retrò di tutte le fotocamere Fujifilm, di alcune in particolare, come la X100, è la marcia in più che attrae sempre più pubblico, soprattutto tra i giovanissimi, non è un caso che altre marche incomincino a seguire la stessa strada. Altro valore aggiunto è l’esperienza nella produzione delle pellicole che non è stata abbandonata, al contrario sfruttata e adattata al digitale, tanto e vero che spesso e volentieri è possibile scattare direttamente in jpg, perché il risultato è già perfetto. Dare priorità alla fotografia, alla cultura fotografica, e non alla tecnologia in sé, è ciò che apprezziamo di più di Fujifilm, da sempre schierata per supportare al meglio la fotografia come linguaggio di documentazione, di riflessione, di arte. La X100VI inizia a scrivere un nuovo capitolo della storia di Fujifilm e molto probabilmente sarà piena di soddisfazioni per loro e per chi decide di utilizzarla.

Federico Emmi